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MANIFESTO

Il teatro ci dà tre possibilità fondamentali come essere umani.

A chiunque vi si dedichi con sincerità e rigore, il teatro apre numerosi sentieri di ricerca di sé e del mondo. Dalla ricerca sulle possibilità creative del corpo e della voce, a quella sugli archetipi umani che vediamo incarnare nella vita di tutti i giorni, la creazione teatrale può nutrire e nutrirsi di qualunque altro campo del sapere, passato o presente.

Il teatro ha poi il potere di unire le persone che lo fanno. Lo fa offrendo uno spazio e un tempo in cui dedicarsi silenziosamente alle ferite della propria vita. Chi partecipa del lavoro teatrale ha la possibilità, attraverso la condivisione di un processo creativo, di trasformare queste ferite personali in spiragli di luce.

Infine, il teatro ha il potere di aprire, anche a chi lo guarda, delle finestre su mondi alternativi a quello della quotidianità, mondi in cui ognuno può trovare, a volte inaspettatamente, frammenti di significato che danno senso al mosaico della propria vita.

Nelle società umane numerose forze sono lentamente ma costantemente attive. Profonde trasformazioni avvengono senza che ce ne si renda conto nel corso di una vita. In larga parte del mondo contemporaneo, queste forze tendono ad esaltare l’individuo, il suo successo e la sua opinione a discapito della comunità; spingono verso la frammentazione dei saperi per favorirne la specializzazione, ma a svantaggio della loro connessione; rendono più profondo il solco tra arti e scienze, tra corpo e mente, tra razionalità e spiritualità.

Il teatro, come una corrente sotterranea, da millenni ci dà modo di resistere a queste forze, rinsaldando il ruolo di alcune costanti fondamentali dell’umano. Fare teatro ci mette di fronte all’evidenza che il nostro pensiero è incarnato, poiché la mente è creativa solo se anche il corpo è creativo. Ci apre all’idea che anche nella più profonda razionalità vi è della spiritualità e, talvolta, perfino della superstizione. Ci rende consapevoli che le sorti dell’individuo sono irrimediabilmente legate a quelle della comunità, e viceversa.

 

A partire da queste lezioni, Sarvàn Teater si pone come ideale quello di rinsaldare il rapporto tra creatività e conoscenza, tra arti e saperi, tra pensiero razionale e miti, tra corpo e mente, tra individuo e comunità.

Quello del Sarvàn o Uomo Selvatico è un mito della tradizione alpina e di altre zone montane europee. Il Sarvàn vive solitario nelle foreste montane, vestito di pelli, muschi e rami. Egli non conosce distinzione tra sapere e saper fare e rimane depositario di conoscenze pratiche e usanze da lungo tempo dimenticate dalla società moderna.

 

In rare e fugaci occasioni il Sarvàn tentò di tramandare questi saperi agli uomini, che spesso reagirono con diffidenza e derisione, spingendo il Sarvàn a nascondersi nei boschi ed evitare il contatto con la società degli uomini. L’Uomo Selvatico non è senza cultura o regole di vita, ma rappresenta la possibilità di darsi delle regole proprie per perseguire un modo di vivere e di conoscere più profondo.

Ispirandosi alla tradizione del terzo teatro di Grotowski e Barba, Sarvàn Teater traduce il mito in un concreto progetto di pedagogia teatrale al fine di riportare l’Uomo Selvatico in contatto con il resto della società.

 

Fuor di metafora, la pedagogia teatrale di Sarvàn Teater mira a ristabilire un legame con la parte “d’ombra” dentro ognuno di noi – rappresentata dall’uomo selvatico – che racchiude molti aspetti che la nostra società spesso ci chiede di sopprimere, ma che in realtà offrono numerose chiavi di accesso alla conoscenza: il bisogno di giocare, la natura corporea delle nostre reazioni istintive e emotive, l’ascolto dei ritmi interiori, la logica associativa.

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